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Pablo Picasso: Geniale, virile, ancestrale
di Pasquale Lettieri

Chiude i battenti la mostra “Picasso lo straniero”, allestita a Palazzo Reale a Milano, grazie a un approccio multidisciplinare e alla straordinaria ricerca negli archivi della polizia francese e del Museo Picasso a Parigi, curata da Annie Cohen-Solal. Successo di pubblico e di critica, l’esposizione ha rivelato una storia affascinante a partire da numerosissimi documenti inediti. L’idea originale del progetto è nata da Annie Cohen-Solal, curatrice scientifica della mostra con la curatela speciale di Cécile Debray, presidente del MNPP.

Picasso è andaluso, e forse la predilezione per le immagini e gli accenti dell’angoscia sono un marchio ineluttabile di razza, per gli spagnoli. Tutto lo incanta; l’incontestabile talento che egli ha, mi sembra messo al servizio di una fantasia che mescola in giuste dosi il magnifico e l’orribile. Il suo naturalismo, di precisione, si abbina a quel misticismo che sta rannicchiato in fondo a tutte le anime spagnole, anche le meno religiose. Tutti i mutamenti di Picasso si sono prodotti non per esigenze teoriche, ma solo in forza della sua emotività; senza mai enunciare precetti, anzi, al contrario, avvolgendosi di silenzio, Picasso allarga la propria visione ed estende il proprio dominio.

Fin dalla giovinezza c’era in lui un’aspirazione all’infinito attraverso consecutive operazioni: incatenamenti impensati e interruzioni inevitabili, cui effetti risuonano nelle opere più tardive. Picasso ha conferito ai personaggi sentimenti soggettivi, la cui intensità era in perfetta armonia col proprio temperamento passionale e col suo modo di sentire fortemente. E ciò a volte gli ripugnava: si giudicava in colpa per aver creato un’opera eccessivamente romantica.

“È solo sentimento”, diceva, escludendo qualsiasi elemento di carattere sentimentale, in vista di raggiungere un’obiettività. Una diffidenza che si accentuò con gli anni, verso la sua intima sentimentalità, contro la quale ha reagito con tutte le forze, come eloquentemente testimonia il gran numero di nature morte dipinte; ma anche la lotta senza quartiere intrapresa contro l’aneddoto costituisce una chiara prova della diffidenza di Picasso verso il sentimento.

Questo medesimo motivo lo induce ad abbandonare l’abitudine di trascrivere la natura umana quanto più fedelmente le capacità glielo consentissero: e mentre si applica alla soppressione dell’episodio con il contenimento della propria violenza emotiva, per portarsi nel dominio della plastica, tenta di procurarsi un equivalente della natura, di assicurarsi una qualche recitazione della vita, di affermare con maggiore generalizzazione l’essenza della creatura umana.

Perciò la scomparsa del sentimento, nelle figure del “periodo rosa”, è la soppressione di tutto ciò che poteva insinuarsi di pertinenza troppo esclusiva. Picasso le libera dalle loro storie personali, dalle occorrenze, dalle vicende contingenti, e ne consegue un arricchimento plastico: le superfici delle figure si ampliano, le proporzioni dei corpi si alterano, predomina un tipo dalla grande testa e dal corpo in certo modo scorciato, i particolari si semplificano all’estremo e vengono assunti in funzione dell’architettura d’insieme della figura.

E anche il colore si allinea al generale sforzo semplificativo. Senza Picasso, il Ventesimo secolo non sarebbe stato lo stesso. Senza di lui non avremmo la stessa idea di modernità che abbiamo oggi. E anche la capacità di combinare le varie tendenze artistiche (forma, colore, disegno grafico e pittura, surrealismo e cubismo…) la dobbiamo essenzialmente a lui.