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Non butto via niente.

Zero.

Nemmeno quel file audio intitolato “mix_definitivo_finaleULTIMO_VERO.wav” (spoiler: era il primo tentativo).

Faccio questo mestiere da così tanto tempo che ormai quando apro un hard disk da 300 mega sento odore di pizza al taglio e modem 56k. Ho roba che manco l’Internet Archive. Anni di registrazioni, prove, demo, suoni, silenzi, sbuffi, loop infiniti e file dal nome incomprensibile tipo “finalissima_mixVERArevision3_bisFINALE.mov”.

Qualche giorno fa, mentre rovistavo tra questi cimeli digitali, mi è saltato fuori un live del 3 giugno 2019. Una roba che all’epoca avevo postprodotto con Reason. Ma il risultato… meh. Sai quando fai una pasta con amore ma ti dimentichi il sale? Ecco. Così, spinto da quel misto di malinconia e masochismo creativo, ho tirato tutto su in Logic — plugin vari, qualche magia per isolare suoni troppo amichevoli tra loro (tipo la batteria che voleva abbracciare il piano) — ed è venuto fuori qualcosa che finalmente mi suona bene.

In quel live c’è lei: Elisabetta Serio. Ora, lo so che molti la ricordano solo come la pianista di Pino Daniele. Ed è vero, ma è un po’ come dire che un pianoforte è “una scatola con i tasti”. Elisabetta è una musicista fine, potente, con un tocco che sembra conoscere i tuoi pensieri prima ancora che li pensi.

Nel 2019 era venuta a suonare e a parlare di Sedici, un disco bellissimo, intimo e sofisticato.

Cecilia Donadio l’aveva invitata per music&thecity.

Qualche mese fa ci siamo rivisti, ospite di Francesca Silvestre — ealla fine abbiamo pranzato insieme, perché certi rapporti si rinnovano solo davanti a un piatto “Serio” (battuta terribile).

Abbiamo parlato di musica, di vita, e mi ha fatto il regalo più bello: ha ascoltato alcune mie composizioni.

Quando ha sentito “Je song o popolo”, ha alzato lo sguardo, aveva gli occhi lucidi. Mi ha detto che era commossa. E lì ho pensato: o è una grandissima attrice (spoiler: non lo è), oppure davvero la musica, se è onesta, arriva.

La registrazione resta quella che è: un live acustico, coi microfoni messi dove si poteva, batteria e basso a un centimetro dal piano.

Ma ora ha un suono che mi piace. Più pulito, più ampio. Più… mio.

E mi ha fatto venire voglia di condividerlo. Perché dentro ci sono le mie giornate di allora, le mie fissazioni tecniche, ma anche quel piacere di lasciarsi stupire da un momento che torna e ti guarda con occhi nuovi.

A presto,

Felice Iovino (FXiovino)

collezionista di hard disk e momenti irripetibili